01 giugno 2007

absinthe 

Absinthe

Alejandra

(Cd, Distile Records, 2005)

noise (post) rock


Noise
rock col naso all'insù. Quattro tracce, un'ora di questanonèmusicaèrumore. Non capita di frequente di ricevere coordinate sonore rock dalla Francia ed in questo caso, per la precisione, siamo già al post, difatti. Se vi piace la definizione, altrimenti ripiegate (io ho fatto così) su un più ruffiano noise, lasciando il post tra parentesi.

Alejandra è il secondo album degli Absinthe, nativi di Montpellier, innaffiati con molta probabilità dalle chitarre acide dei Sonic Youth, dai paesaggio sonori dei June of '44, dei Godspeed (anche compagni di palco) e roba del genere. Sono un atipico quartetto che prevede l'utilizzo di bene diciotto corde (calcolate calcolate) di chitarra ed una batteria.

Creano muri distorti che s'ergono come monoliti nelle atmosfere liquide che dilatano a dismisura le tracce dell'album. A dismisura. Dilatano. Anche troppo. Talvolta. In un eccesso di trance creativa che sembra nasconderci la strada, come nei ventotto minuti Kocka ( o di Love Song for a dutch bitch), unico limite di un'ispirazione a tratti acidamente cristallina. Ma mentre scrivo (e nel frattempo ascolto e riascolto), qualsiasi masturbazione critica lascia il posto al piacere dell'indefinibile. Verso il minuto ventuno. Circa. Come non detto.

La strada percorsa, le atmosfere cupe, piangono lacrime di nostalgica compassione negli arpeggi di Someone said "your heart belongs to the dead", nella voce sofferente e nazionalista (inedita), nel ritmo cadenzato di Amour-infidélité-introspection, tutto Mogwai e delay, in cui la veglia lascia posto al sogno (all'incubo), in cui le chitarre imbizzarrite crescono d'intensità ed istericamente s'intrecciano, come d'ipnotica danza. Passano dieci muniti, poi passa un'ora, non me ne accorgo.

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